Da ieri, finalmente ottenuti tutti i permessi necessari, in piazza Indipendenza campeggia di nuovo una tenda. Sono tornati gli striscioni dei precari, ma questa volta non ci sono i docenti a presidiare il palazzo d’Orleans. Sono gli ATA, cinque precari che digiunano per ottenere il diritto alla visibilità, all’espressione di un problema per il quale non si vogliono trovare soluzioni.
Checché ne dica l’assessore Leanza, per queste cinque persone (come per tante altre ancora troppo invisibili) la soluzione non c’è. I posti di cui parla l’assessore sono 1800. I precari (ATA e docenti) rimasti senza lavoro sono 7200. Un quarto delle persone, dei professionisti che per anni ed anni hanno mandato avanti la scuola, per i prossimi due anni ha una speranza. I rimanenti TRE QUARTI che faranno?
Intanto loro cinque, Giovanni Bologna, Agata Calcavecchia, Pietro Di Grusa, Calogero Fantauzzo e Pietro Prester,sono lì ad attendere con il loro documento elaborato e pronto da consegnare nelle mani del presidente Lombardo, quest’anno ancor più “precario” dello scorso (come ben fa notare lo striscione al presidio, lo stesso che indignò il presidente l’anno scorso).
Sono lì, con l’unica compagnia dei ragazzi di Palermo 2013 che si avvicendano durante il giorno e fino a tarda notte per tenere loro compagnia e a tenere d’occhio le loro condizioni fisiche, particolarmente quelle di Pietro Di Grusa che per affrontare questa protesta ha anche sospeso la cardio-aspirina.
La situazione che rischia troppo facilmente di degenerare.
Che le istituzioni tutte si mobilitino per trovare giusta soluzione a chi sta lottando tanto duramente per il proprio lavoro e la propria sopravvivenza.
Che i colleghi, precari e non, si sveglino e scendano a ribadire il diritto al lavoro (per i “grandi”) e all’istruzione pubblica (per i “piccoli”).
Che le famiglie vengano a protestare contro le iniquità di queste misure esclusivamente economiche e niente affatto mirate ad un migliore futuro per i loro figli, non parliamo poi delle “pari opportunità” per i ragazzi disabili.
Che chiunque abbia a cuore il destino di questo paese venga a ribadire la necessità di maggiore e migliore istruzione pubblica se si vuole che l’Italia diventi un vero paese democratico ed europeo e, perché no, florido.